Lasciateci tifare sappiamo stare al gioco

di AL BANO CARRISI

Caino e Abele erano fratelli; leccesi e baresi sono soltanto cugini… e diciamo pure che sarebbe giusto vincesse sempre il migliore, ma ogni tanto vince solo il più fortunato, il che rende le partite meno prevedibili e più interessanti. I Pugliesi non sono un popolo, ma una somma di popoli che sono riusciti a convivere e a capire che conviene più mischiare il sangue che versarlo; è pure più divertente, oltre che meno pericoloso… Un mio amico «terrone» ricorda che i popoli si fanno a tavola e a letto; e in Puglia ci siamo seduti a tavola con tutti (si vede dalla ricchezza della nostra cucina) e non ci siamo fermati lì (si vede dalla varietà di colori della nostra gente). I pugliesi sono gli abitanti dell’unica regione che è stata candidata al premio Nobel per la pace; ci conoscono come gente di cuore e di cervello. Non riesco nemmeno a immaginare che qualcuno possa compromettere la nostra buona fama, per un modo sbagliato di manifestare l’attaccamento alla propria squadra. 

Le partite di pallone sono come la vita: non sempre hai quel che meriti, qualcuno può sbagliare, persino l’arbitro, ma vale comunque la pena giocare. Ora, guardate lo stadio: è pieno di colori e ognuno usa i suoi per cantare la propria canzone, magari per canzonare l’altro. Il bello è questo, non altro. Pensate cosa accadrebbe se riuscissimo a eliminare gli altri, il loro diritto e il loro piacere di farsi sentire, di cantarle a tutti, anche a noi, anche quando non ci piace. Beh, nello stadio ci sarebbe un colore solo; quello della nostra squadra: sarebbe noioso; e saremmo soli. E lo stesso accadrebbe se i tifosi smettessero di andare allo stadio, di portarvi i propri figli, la propria ragazza, per paura di quello che può succedere. Ancora una volta, saremmo soli, l’incontro della domenica smetterebbe di essere una festa, per diventare un incubo. 

Non sto dicendo che i tifosi devono stare impalati e zitti, anzi! Il tifo rende rumorosi, sfottenti, caustici, casinari, clowneschi, esagerati, irragionevoli, presuntuosi, parziali che di più non si può… Va bene, va bene tutto. Non si può chiedere ai tifosi di essere misurati, giusti, generosi con l’avversario. Sì, qualcuno lo è; ma se lo è, vuol dire che non è davvero tifoso! Io parlo delle persone normali, come me. Il tifo risponde a una sola logica, priva di qualsiasi senso dell’equilibrio: la mia squadra, i miei colori sono tutto, il resto del mondo (di quel mondo), niente. Il tifo è parente della religione; infatti, qualcuno usa, per la sua squadra, la parola «fede». Gli dei non si discutono: si accettano come sono, perfetti! 

La trappola per stupidi è trasformare questo trionfo della partigianeria irresponsabile, ma gioiosa, in violenza. È lì che finisce tutto il gusto, perché il muscolo spegne la necessità di inventarsi qualcosa di più feroce e distruttivo per l’avversario. Il successo vero del tifoso è zittire il rivale, ma senza toccarlo. Insomma, con l’intelligenza e l’arguzia, non con la forza. Quanti anni sono passati da quel «Verona-Napoli» rimasto alla storia? Eppure, come «arma letale» massima di una tifoseria contro l’altra, la più sanguinosa di tutti i tempi, tutti ricordano non un coltello, un bastone, una spranga, ma uno striscione dei tifosi napoletani contro i veronesi, per mettere in dubbio l’onorabilità di Giulietta, di cui Romeo - secondo i napoletani - non aveva capito niente… 

A smentire chi pensa che i tifosi pugliesi debbano essere tenuti a bada, a freno, a casa, tanto da far giocare il derby a porte chiuse, mi piacerebbe vedere l’aggressività che nasce dal tifo investita nell’intelligente ricerca della parola, della battuta che, senza essere puro insulto, riduce l’altro al silenzio, distrugge le sue capacità di reazione e lo costringe ad ammettere che si è divertito pure lui, persino a suo danno. In questo, sappiamo essere maestri. Ma c’è sempre un maestro più maestro dell’altro. Fateci vedere chi è; e io metto in palio una cassa del mio miglior vino, quale premio per la migliore battuta, lo striscione più caustico. Così, dallo stadio, invece di rischiare di non entrarci nemmeno, potremo uscirne tutti un po’ migliori, facendo vincere sempre l’umanità, l’amore, l’armonia e il senso dello sport e mai - neanche per un attimo - la violenza.